La battaglia di Long Tan – Kriv Stenders (2019)

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La settimana scorsa, sul blog è uscita una nuova recensione di Nena, che si è occupata dell’autobiografia della cecchina sovietica Ljudmila M. Pavličenko. Proprio di Nena è stata l’idea della sezione Libri e film del blog, che al momento conta appunto tre sue recensioni di libri. Poiché accanto ai libri sono menzionati i film, vogliamo oggi inaugurare anche una recensione dedicata. Con l’uscita del DLC della comunità SOG Praire Fire tutti gli amanti del Vietnam, me compreso, sono tornati alla riscossa; ho deciso quindi di partire proprio con un film “diverso” sulla guerra del Vietnam.

Vorrei infatti qui parlare de La battaglia di Long Tan (Danger Close: The Battle of Long Tan, nell’originale, perché gli adattatori adorano tagliare), film australiano del 2019 diretto dal regista Kriv Stenders. Tra gli attori del cast spicca Travis Fimmel, che molti – ma io chiaramente no – conosceranno dalla serie Vikings e dall’adattamento live action di Warcraft. Al momento in cui scrivo, la pellicola è disponibile su Amazon Video nella (sola) localizzazione italiana; nel nostro Paese, però, la versione Blu-Ray non è ancora commercializzata.

La guerra degli Aussies, una storia poco nota

Quando si pensa alla guerra del Vietnam, possono balzare alla mente tante immagini diverse, dalle foto d’epoca, ai film, quasi sempre kolossal, alla musica del tempo, che comprende quasi tutti i grandi classici del rock. Ci viene spontaneo pensare ai Vietcong da un lato ed ai celeberrimi GIs americani dall’altro, giovani che, per parafrasare l’immancabile Fortunate Son, non sono figli di un senatore e si sono quindi ritrovati a combattere nell’inferno verde del Sudest asiatico.

Ecco una delle foto più emblematiche del conflitto, spesso inserita nelle pubblicazioni o anche come sfondo ai tipici video di YouTube dedicati alle canzoni dell’epoca:

Cosa sprizza più Vietnam di una foto come questa? Una piazzola d’atterraggio nella giungla, gli immancabili Huey, i soldati felici di imbarcare. Qui però non abbiamo Marines o soldati dell’esercito statunitense, bensì soldati australiani, come l’osservatore smaliziato può facilmente capire osservando, tra l’altro, i ben visibili fucili SLR.

La partecipazione dell’Australia e della Nuova Zelanda alla guerra del Vietnam è un fatto storico assodato. Eppure, Aussies e Kiwis – questo lo scherzoso soprannome di australiani e neozelandesi – non hanno avuto alle spalle un gigante come Hollywood a ricordarli. Nel 1968, mentre la guerra infuriava ancora, negli USA usciva uno dei capostipiti dei film sul Vietnam, Berretti verdi (The Green Berets), kolossal dai toni fortemente propagandistici nel cui cast spiccava nientemeno che John Wayne.

Gli Americani, dunque, avevano immortalato il conflitto ancor prima che si concludesse. Per Australiani e Neozelandesi, però, la filmografia è stata meno generosa; considerando, dunque, che i film fanno parte della cultura di massa, i risultati si possono vedere facilmente. Statisticamente, è facile trovare qualcuno che non sappia della partecipazione di Australiani e Neozelandesi alla guerra del Vietnam, magari uno statunitense. Questo stesso statunitense, forse, ignora anche che, in primis, in quella guerra combatté l’esercito dalla Repubblica del Vietnam del Sud.

Del resto, noi Italiani conosciamo bene, foss’anche – e spesso lo è – per sentito dire le vicende del nostro Paese durante la Prima guerra mondiale. Un americano o un inglese, se non hanno letto Addio alle armi di Hemingway (o visto il film) oppure giocato all’accuratissimo – si fa per dire – Battelfield 1, potrebbero invece benissimo ignorare la nostra partecipazione al conflitto.

Da una parte è inevitabile: ognuno conosce meglio la storia del proprio Paese e più o meno bene quella dei Paesi limitrofi. Oggi possiamo facilmente fruire online di contenuti a un tempo educativi e di intrattenimento, come i film a carattere storico. È davvero una ventata d’aria fresca, dunque, avere film come quello di cui andremo a parlare.

La vera battaglia di Long Tan, le quasi-Termopili australiane

Nui Dat e Long Tan sono situati nell’attuale provincia di Bà Rịa–Vũng Tàu, che ai tempi della partizione fra Nord e Sud Vietnam era denominata invece Phước Tuy

Siamo nell’agosto del 1966. La 1st Australian Task Force (1st ATF), che comprende sia truppe australiane che neozelandesi, è attestata fra l’altro a Nui Dat. Questa base, che dispone sia di artiglieria che di APC M113, è stata creata anche allontanando gli originali residenti e trasferendoli altrove. Da Nui Dat partono le missioni di pattuglia search and destroy, finalizzate al controllo della regione.

Nella notte fra il 16 e il 17 Agosto, la base è fatta oggetto di fuoco di disturbo da parte di mortai e lanciagranate nordvietnamiti. Gli specialisti australiani riescono in poco tempo a triangolare la posizione presunta dell’artiglieria nemica, e comincia il fuoco di controbatteria, che fa desistere gli attaccanti. All’alba, il comando australiano decide di organizzare dei turni di pattuglia per cercare e neutralizzare gli schermagliatori nemici. Sono questi i giorni in cui alla base è previsto tra l’altro un concerto della star australiana Little Pattie e di Cole Joy.

Un operatore della 1st ATF immortalato in Vietnam mentre imbraccia un’icona del conflitto, la mitragliatrice M60. Sullo sfondo è possibile vedere, alla sinistra di chi guarda, un altro soldato con un SLR, oltre ad un fucile M16A1 posato su uno zaino

Un primo plotone non trova tracce del nemico. A dargli il cambio interviene, il 18 agosto, la compagnia Delta, guidata dal maggiore Smith. I suoi uomini, a malincuore, devono saltare il concerto di Little Pattie per entrare in azione e cercare il nemico. Muovendosi rapidamente e trovando delle tracce fresche, gli uomini di Smith, tra i quali ci sono tre osservatori d’artiglieria, trovano presto i Vietcong.

Siamo nei pressi di una piantagione di gomma abbandonata nel villaggio di Long Tan. Quella che può sembrare una scaramuccia si sta per trasformare in una vera e propria battaglia campale.

Foto moderna del sito della battaglia. Sugli alberi si notano le incisioni e, alla base del tronco, dei recipienti che servono a raccogliere la gomma man mano che questa cola

La compagnia Delta, infatti, si scontra sia con il 445° battaglione delle forze locali dei Vietcong che con il 275° reggimento della forza principale. Anche se si tratta sempre di guerriglieri – siamo infatti nel Vietnam del Sud, lontano dall’esercito regolare del Nord – sono tutti ottimamente equipaggiati e numericamente superiori.

La battaglia che si scatena e si protrae fino alla sera, anche sotto la battente pioggia monsonica, vede la compagnia Delta completamente accerchiata. Il nemico si insinua fra due dei plotoni, che restano tagliati fuori, mentre il plotone comando, grazie alla bravura degli osservatori, fa largo impiego dell’artiglieria. Questa serve a respingere il nemico ed a sbarrargli la strada, ma cade a distanza davvero ravvicinata dalle truppe amiche.

Anche un flight di cacciabombardieri statunitensi esegue un bombardamento di napalm per rallentare i Vietcong, che però non sembrano mollare. A Nui Dat, gli alti ufficiali australiani credono che la compagnia sia spacciata e sono restii sull’invio di rinforzi, temendo un attacco alla base.

La situazione al 18 agosto 1966. La carta mostra le posizioni degli schieramenti e i punti in cui il fuoco dell’artiglieria australiana fu più concentrato

Grazie ad un audace missione di resupply di due Huey della Royal Australian Air Force di stanza a Nui Dat, la Delta riceve munizioni. Gli Australiani di Smith resistono: quando il comando si risolve ad inviare fanteria meccanizzata su M113 per rompere l’attacco, ai Vietcong non resta che la fuga.

Sul campo restano 18 caduti australiani e 24 feriti, dei 108 uomini iniziali. Le stime sul numero di Vietcong impegnati nell’attacco non sono concordi: il minimo è 700, il massimo 2,500; le fonti vietnamite indicano 50 morti e 100 feriti, mentre gli Australiani stimano 245 nemici uccisi e 350 feriti.

Entrambi gli schieramenti impegnati nella battaglia reclamano per loro la vittoria, anche se l’attacco sventato sulla base fa pensare ad un successo strategico australiano. Per chi volesse approfondire, un ottimo punto di partenza è il sito di un documentario dedicato, con numerose sezioni riguardanti le fonti.

La battaglia dietro la cinepresa

La trama del film segue abbastanza fedelmente lo svolgersi della battaglia reale, che sopra abbiamo ricordato in sintesi. La pellicola si apre con l’attacco notturno dell’artiglieria su Nui Dat. Già da qui possiamo imparare a conoscere il maggiore Smith, interpretato da Travis Fimmel. Si tratta di un ufficiale tutto d’un pezzo, veterano della guerra contro i ribelli comunisti della Malesia a fine anni Cinquanta. La sua intraprendenza e la sua leadership si scontrano nettamente con la figura del meno brillante Oliver D. Jackson. Questi è il generale di brigata a comando della forza stanziata a Nui Dat, poco esperto nel contrasto alla guerriglia e poco incline a sfruttare l’esperienza di Smith.

In questa foto d’epoca del 1967 il vero maggiore Smith (a destra, col tipico slouch hat) riceve dal brigadier generale Oliver D. Jackson (a sinistra, col berretto) la Military Cross per le proprie gesta a Long Tan. Nel 2008, questo riconoscimento venne giudicato insufficiente e Smith, tuttora vivente, ricevette anche la Star of Gallantry.

Diverse parti del film sono giocate sull’opposizione fra la leadership pragmatica di Smith e quella più, se vogliamo, da scrivania di Jackson. Da questo punto di vista, la pellicola non rinuncia ad una punta di polemica; l’opposizione fra i due personaggi, però, non è banalizzata riducendola al piano personale dei due, e il regista mantiene la prospettiva reale. I due si scontrano perché hanno vedute tattiche differenti, ed anche se la cosa è tecnica ha il giusto risalto: ciò fa molto onore al regista.

Anche ben indagato è il rapporto di Smith coi suoi sottoposti. Il maggiore è un uomo esigente, pignolo ai limiti del maniacale; tuttavia, sa quando rimproverare i suoi o quando rivolgere qualche parola amichevole, magari in un momento di quiete durante la battaglia.

In generale, gli autori hanno saputo rappresentare personaggi credibili. Non ci sono tipi fissi, ma ogni soldato ha determinate caratteristiche, determinate abilità e anche difetti. C’è per esempio una scena assai carica di tensione in cui, durante la battaglia, uno degli abili osservatori d’artiglieria va nel pallone. Dovrebbe infatti dare le coordinate mentre il plotone è in movimento, ma non riesce, e se sbaglia rischia di far tirare addosso agli alleati. Chiede perciò di fermarsi, e Smith dopo qualche dubbio accetta. Si tratta di una scena secondaria, ma che cattura molto bene una scena di guerra credibile e scevra di ogni retorica.

Durante tutto il film, hanno grande importanza le comunicazioni radio tra la base e la compagnia Delta. Grazie all’ottimo lavoro di ricerca, gli operatori radio recitano il vero testo delle comunicazioni di quel giorno. L’attento esame dei log giornalieri della base, infatti, ha permesso di arrivare a questo livello di accuratezza: praticamente, alcune battute le ha scritte la storia vera.

Senza esclusione di colpi

Il regista ha scelto di girare il film in Australia, nel Queensland, che, come le più popolari Tailandia e Filippine, si presta bene a rappresentare il Vietnam. La somiglianza fra la piantagione di alberi di gomma di Long Tan e quella rappresentata nel film è davvero impressionante, segno di come gli autori non abbiano lasciato nulla al caso.

Le scene della battaglia sono costruite secondo quella che chiamerei una tensione realistica. Il ritmo è molto serrato, non ci sono praticamente mai scene al rallentatore, gli effetti dei proiettili che fischiano e dei traccianti che arrivano da ogni direzione scandiscono ogni scena. Non manca, naturalmente, il massiccio apporto delle esplosioni: l’artiglieria non è simulata con tre o quattro botti d’ordinanza, ma, al contrario, non si è badato a spese quanto a polvere nera. Molti hanno osservato che, per quanto sia possibile in un film, la rappresentazione realistica dello sbarramento degli obici mostra quanto sia davvero fondamentale l’artiglieria in battaglia.

A proposito d’artiglieria, una parte del film mostra un momento tragico in cui il plotone comando pensa di aver fornito coordinate sbagliate agli obici. Così, mentre è certo che un plotone, l’undicesimo, è tagliato fuori, si insinua in tutti il terribile dubbio di averli annientati col fuoco amico. La scena parte da presupposti semplici e gli autori li hanno pienamente rispettati: il dramma che ne segue è assolutamente genuino.

Due artiglieri australiani ripresi nel 1966. Mai come a Long Tan l’artiglieria si dimostrò regina della battaglia

Una nota secondaria ma, io credo, importante, è che le scene di guerra offrono anche diverse inquadrature del nemico. Non ci sono veri personaggi vietnamiti distinguibili, né dialoghi sottotitolati, ma in alcuni casi la cinepresa mostra le mosse dei Vietcong, magari mentre montano una mitragliatrice. Ho trovato questo particolare degno di menzione perché, assai spesso, i film di guerra, specie quelli di Hollywood, si concentrano solo sui “buoni”, e il nemico si crea praticamente per opposizione: sono nemici quelli che la camera non inquadra.

Importanti, sia nella costruzione drammatica del film che nell’obbedienza alla realtà storica, sono le scene di morte, per così dire, di soldati australiani. Qui non c’è mai nessun rallentatore alla Call of Duty e nessuna sottolineatura innaturale di quanto sta avvenendo. Quasi sempre, lo sfortunato soldato finisce stroncato durante il serrato scontro a fuoco, e le tempistiche giocate bene fanno sì che anche i compagni non lo realizzino immediatamente.

Un tenente australiano sul campo di battaglia di Long Tan il giorno dopo la conclusione dei combattimenti. Si nota sullo sfondo una mitragliatrice scudata abbandonata dai Vietnamiti

In generale, è ben ricostruito il rapporto fra i soldati e l’incontro-scontro fra ufficiali, sottufficiali e truppa. La grande leadership di Smith emerge dalla sua capacità di andare fino in fondo, anche se una sua decisione sembra disperata; a Nui Dat, nel quartier generale, la cinepresa restituisce bene dapprima l’incompetenza dei comandanti, incapaci di esaminare esattamente la situazione, poi il loro prendere coscienza della situazione grazie alle azioni di Smith. Così, anche un’azione apparentemente disperata come richiedere il fuoco d’artiglieria sulla propria posizione, un classico in un certo senso, è presentata nelle varie fasi, anche burocratiche. Nulla, fa capire il film, è improvvisato al momento.

M113 e fanteria australiana nella giungla, in una scena molto simile rispetto a quella mostrata nel film

Menzione speciale, per ovvi motivi, devo fare della scena dei due Huey. Quando la compagnia Delta chiede disperatamente munizioni, il responsabile dell’aviazione alla base non vuole rischiare elicotteri, perché la presenza nemica è schiacciante e la pioggia monsonica ostacola il volo. Come però avvenne nella realtà, due piloti, due tenenti, sfidano l’autorità dei superiori pur di assistere la fanteria, e alla fine gli è concesso di decollare. Così, in una scena dalla fotografia grandiosa, come anche altrove – ma qui del resto basta inquadrare gli Huey! – vediamo la missione di resupply fra la pioggia battente e i traccianti. Un vero gioiello.

Foto del tenente pilota Frank Riley, che si offrì volontario imponendosi sui propri superiori per poter rifornire la compagnia Delta a corto di munizioni

Per ragioni di copyright, non ho purtroppo potuto includere qui scene del film vero e proprio, ma, per il poco che io ci capisco, la fotografia mi sembra curata ottimamente. Particolare menzione meritano i toni cupi nella fase più intensa della battaglia, sotto la pioggia, rappresentata in tutta la sua violenza naturale.

L’accuratezza storica del film si vede anche nell’uso attento di armi ed equipaggiamenti d’epoca; gli Huey usati, inoltre, sono assolutamente originali, come gli M113 della colonna corazzata, peraltro impiegati in gran numero.

Un film diverso, una guerra diversa

La battaglia di Long Tan non è, né vuole essere, il solito kolossal a stelle e strisce sul Vietnam. La pellicola rappresenta, invece, una ricreazione assolutamente fedele e credibile di una battaglia così importante per l’Australia che rischia di essere sconosciuta agli altri.

Non si tratta tuttavia di un film “campanilistico”. La scelta degli attori e, in generale, la direzione delle scene hanno permesso di avere un prodotto assolutamente in linea con la produzione internazionale, fruibile a tutti gli appassionati. L’esperto collezionista che conosce a memoria Full Metal Jacket e Platoon troverà pane per i suoi denti, ma anche lo spettatore meno esperto o che muove i primi passi può trovare un primo valido appoggio.

L’elemento bellico e l’elemento umano restano in una “tensione bilanciata“, così che il risultato è una sorta di documentario umanizzato, comprensibile, sia pure su piani diversi, per varie classi di spettatori. Quando, nei titoli di coda, scorrono una accanto all’altra la vera fotografia di ciascun caduto australiano e quella dell’attore che l’ha interpretato, lo spettatore sente di esserne uscito arricchito. Il tutto con in sottofondo I was only ninteen, una canzone australiana molto nota che racconta la difficoltà dei veterani di convivere con lo stress postraumatico e di essere accettati dalla società: una vera chicca per gli appassionati.

Intrattenere raccontando una storia vera è sempre un merito. Quando puoi questa storia rischia di restare sconosciuta, il merito si accresce ancora di più. Per questo, una pellicola come La battaglia di Long Tan rappresenta un vero gioiello: non vuole essere il Vietnam, all’Apocalypse Now, ma raccontare un Vietnam, quello vissuto dagli uomini della compagnia Delta.

Buona visione!

Una stele dell’Australian Vietnam War Memorial a Canberra, che riproduce la celebre fotografia che abbiamo visto all’inizio